Il Pane e le rose su Precari-e Anche No

Precari-e Anche No: un’esperienza di videoinchiesta a Roma Nord Ovest.

da: https://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o30594:f-1

(7 Novembre 2011)

Chi conosce Roma, sa che la sua zona nord-ovest viene spesso considerata come una realtà a parte rispetto al resto della città. Al di là delle esagerazioni, in questa percezione qualcosa di vero potrebbe esserci: si pensi alla notevole varietà di ambienti sociali, accennata anche nell’intervista che riportiamo. Ma forse più che presentare caratteristiche assolutamente originali, quest’area mostra con maggiore evidenza quelle che sono le linee di sviluppo di Roma e, in generale, delle grandi città italiane. Per questo, muovendo dalle sue contraddizioni si possono svolgere discorsi più ampi, come quelli sviluppati dal gruppo di giovani compagne e compagni che hanno dato vita a Precari-e Anche No ( precari @ anche.no ).

Intanto vi potete presentare?
Precari-e anche No nasce nel gennaio-febbraio del 2011, sulla scia del 14 dicembre. Del nostro gruppo fanno parte compagne e compagni dello Spazio Occupato Ex 51 di Valle Aurelia, dei collettivi femministi ed altri di zona. Ci è venuto in mente di portare avanti un lavoro di videoinchiesta, che è anche una sorta di intervento territoriale, nell’area nord-ovest della città. Un’area in cui sono davvero pochi i luoghi di aggregazione.

La giornata del 14 dicembre 2010 ha quindi avuto un significato particolare per voi…
Per certi versi la si può definire una giornata fondativa. Diciamo che quella manifestazione ha espresso una carica di autentica radicalità, finendo per legittimare il conflitto. Noi non alludiamo solo al fatto militare, dello scontro di piazza, ma all’idea di una conflittualità agita da tutte/i al di fuori degli schemi canonici. Non a caso il 14 dicembre ha avuto riflessi anche in altri territori ed a livello studentesco ed universitario, in particolare all’Università Roma III dove sono meno presenti le forze della sinistra tradizionale.

Ci potete descrivere l’attività che portate avanti?
Da subito ci siamo interessati delle diverse vertenze in atto nel territorio, tra cui quella dei lavoratori della Casa di Cura Valle Fiorita e quella degli occupanti sotto sgombero della Fabianella, sulla cui situazione laprospektiva ha realizzato un bel video. Poi, abbiamo realizzato delle interviste davanti al Centro per l’impiego, che si trova presso le case popolari di Torrevecchia. Abbiamo realizzato presentazioni di una nostra videoinchiesta sulla precarietà in zone a carattere marcatamente proletario, cioè a Primavalle, al parco di via Ascalesi, ed a Valle Aurelia, dove sono i casermoni dell’ATER.
Noi interveniamo in un territorio molto vasto, compreso fra due municipi fra i più grandi della città, il XVIII ed il XIX. Teniamo a precisare che non siamo “intellettuali” che teorizzano sul disagio urbano, non affrontiamo questioni che non ci riguardano, vogliamo invece prendere di petto i problemi di un’area particolarmente complicata, dove i processi di precarizzazione non riguardano solo le nuove generazioni. Il nostro percorso si è presto intrecciato con quello dell’Assemblea per la casa, nata a Valle Aurelia. Di fatto, tra le due esperienze, vi è un sostegno reciproco.

In effetti, volevamo chiedervi proprio con quali esperienze conflittuali presenti nel vostro territorio avete rapporti…
Anzitutto, noi collaboriamo con lo sportello per la casa presente all’Ex 51, che fa parte di una rete di sportelli autorganizzati. Sono 6 in tutta la città: si ricollegano alla esperienza sviluppatasi al Volturno Occupato, per impulso del Coordinamento cittadino di lotta per la Casa, ma sono nati spontaneamente, senza un piano “preordinato”. Oggi, portano avanti alcune campagne comuni, come quella relativa agli affitti in nero.
Il fatto che siano sportelli autorganizzati implica alcune caratteristiche, che li differenziano da esperienze analoghe che però si legano a sindacati e partiti. Certo, essi forniscono anzitutto una assistenza di carattere legale, ma sono anche sportelli di lotta, che chiedono una maggiore attivazione da parte di chi vi si rivolge. La premessa da cui si parte è quella del rifiuto della delega, che ovviamente non fa parte del DNA degli sportelli legati ad esperienze sindacali.

Dunque, la vostra attività di video-inchiesta non ha un carattere “giornalistico”…
No, di certo. Il nostro progetto è quello di mettere in comunicazione le vertenze che i lavoratori sviluppano sul territorio di riferimento (Valle Fiorita, Ispra) con le lotte legate alla questione abitativa. Intendiamo contribuire al superamento di quella frammentazione che è molto forte nella nostra metropoli. Dove ci sono diverse realtà conflittuali e molteplici piccole lotte, che però raramente si parlano fra loro.
In questo senso, è già utile trovare ciò che accomuna le diverse figure che compongono il precariato. Un aspetto che è emerso dalla nostra attività di videoinchiesta è che chi vive una condizione di precarietà avendo fatto studi specialistici si sente ancora più defraudato. Si pensi ai lavoratori dell’Ispra, che sono quelli cui è stato affidato il compito di verificare gli effetti della catastrofe nucleare giapponese sull’Italia.
Però, poi, alcuni problemi li accomunano a tutte quelle persone che abbiamo incontrato davanti al Centro per l’Impiego. A chi fa l’autista per una cooperativa tre mesi sì e tre mesi no, per esempio. Il punto è che tutti sentono di vivere una condizione di isolamento.

Possiamo sapere come sono andate le iniziative nei quartieri popolari?
A Primavalle c’è stata una buona risposta, sia da parte degli abitanti delle case popolari limitrofe al parco, sia da parte di compagne e compagne di generazioni precedenti, che hanno visto con favore la nascita di un’esperienza come la nostra.
A Valle Aurelia, gli abitanti dei palazzoni, ci hanno chiesto di ripetere la cosa: è piaciuta molto, soprattutto ai più giovani, a quelli sotto i 20 anni, che hanno vissuto quel momento anche sul piano della socialità.
In sostanza, l’esito delle iniziative è stato incoraggiante. Forse si è capito che non siamo dei “missionari” e non abbiamo un verbo da diffondere… D’altra parte, noi stessi siamo parte di questo territorio, abitiamo nei quartieri in cui interveniamo e ne viviamo tutte le contraddizioni.
Iniziative come quelle realizzate a Primavalle e a Valle Aurelia erano il modo migliore per far cogliere i tratti ed il senso del nostro lavoro. Naturalmente non escludiamo mezzi tradizionali, ma sempre utili, come il volantino. E sul piano della “denuncia” abbiamo realizzato delle “segnalazioni”, come quella sulla via di Torrevecchia, relativa alla ennesima costruzione di un privato in un’area del tutto priva di servizi (una costruzione di cui non è dato sapere la destinazione d’uso).

Peraltro, Valle Aurelia è un quartiere anomalo…
Sì, lo abbiamo sempre detto: Valle Aurelia è un territorio davvero singolare, contraddittorio. Com’è noto nasce più di 100 anni fa, in quanto borghetto abitato dai lavoratori delle fornaci, dove si fabbricavano mattoni e laterizi, ormai dismesse da decenni. Ancora oggi ha un forte sostrato popolare, ma dista solo poche centinaia di metri dal Vaticano. Dunque, potrebbe essere interessato da quelle che vengono chiamate riqualificazioni e che – come sappiamo – non servono a rendere migliore la qualità della vita negli insediamenti popolari. Si tratterebbe invece di vendere le case popolari, magari al prezzo di mercato che – nella zona limitrofa – è di 500-600.000 euro. Dunque, la riqualificazione si tradurrebbe in una vera e propria espulsione di massa.
Però, come detto, noi facciamo riferimento ad un raggio d’azione ben più ampio, che include Montespaccato, Bastogi e l’intera Torrevecchia.

Noi siamo a conoscenza del fatto che siete intervenuti anche in zone meno popolari di quelle appena citate…
Certo, pochi giorni fa siamo andati alla Torresina a fare interviste ed a volantinare sulle questioni abitative. Ci siamo collocati di fronte al nuovo centro commerciale, in uno dei nuovi quartieri di Roma nord-ovest. In quella zona i prezzi delle case sono piuttosto alti. Ma è significativo (e tipico di quest’area della città, che da sempre si distingue per l’eterogeneità sociale) che a pochissima distanza si trovi un quartiere-ghetto come il Quartaccio.
Peraltro, nei nostri quartieri vengono aperti in continuazione dei centri commerciali, che talvolta chiudono in breve tempo. Ciò, in uno spaventoso deserto di servizi sociali e di luoghi di vera aggregazione. Ad ogni modo, le cose sono andate bene pure lì: è segno che certi problemi sono sentiti. All’inizio abbiamo verificato un po’ di timidezza davanti alla videocamera, ma abbiamo raccolto testimonianze interessanti.

Siete a conoscenza di esperienze analoghe alla vostra, nella nostra metropoli…
A Roma, in questi anni, sono usciti parecchi video legati a lotte specifiche. Si pensi a quello su Tezenis, che è particolarmente valido.
Nella nostra città questo tipo di attività può essere importante, perché il lavoro precario è quanto mai segmentato. Si pensi alle migliaia di persone che lavorano, in condizioni di precarietà, negli esercizi commerciali, nei cinema, tutti luoghi dove è estremamente difficile praticare il conflitto in forme tradizionali. Documentare il loro vissuto, dovrebbe essere una centralità.
Ciò, nella consapevolezza che, con tutte le difficoltà ben note, il conflitto è in potenza espanso rispetto a prima. Certo, la differenziazione contrattuale ha generato un forte isolamento e la difficoltà di lottare assieme anche nello stesso posto di lavoro. Le diverse leggi che si è cercato di contrastare in questi anni – come la legge Biagi – hanno risposto ad una realtà che si era già imposta nella società, legata ad una forte ristrutturazione del Capitale, volta a scomporre il proletariato. Ma ratificando un processo già in atto ed associandosi a fenomeni come la riduzione dei servizi sociali, si è contribuito ad estendere la precarietà, che oggi riguarda il lavoro, la casa, ogni aspetto della nostra esistenza. Tanto da porci di fronte a notevoli difficoltà ma anche a nuove possibilità di aggregazione, che possono passare per l’attività territoriale, oltre che per i posti di lavoro. Intendiamoci, noi non escludiamo le forme di conflitto classiche (lo sciopero, il picchetto ecc.), altrimenti non ci sarebbe stata, da parte nostra, un’attenzione a tutte le vertenze che si sono verificate nei posti di lavoro della zona in cui operiamo. Solo che questi strumenti, ancora dirompenti in molti casi, difficilmente si possono applicare ad alcune delle “nuove” forme di lavoro, che mantengono (ed inaspriscono) tutti i meccanismi dello sfruttamento.
Dove c’è ancora la “possibilità” di portare avanti forme di lotta più classiche lo si deve fare, con la massima determinazione, ma noi ci stiamo attrezzando anche per sostenere tutte quelle persone che non sono nelle condizioni di esprimere la conflittualità nei modi che sin qui abbiamo conosciuto.

Per concludere, ci piacerebbe sapere quali attività avete in cantiere…
Anzitutto, intendiamo continuare l’inchiesta sul territorio, cercando il confronto con tutte le vertenze territoriali.
In tal senso abbiamo attivato un corso di montaggio, o meglio un laboratorio, basato sull’idea che chi coloro che lo frequentano debbano attivarsi il più possibile e non essere allievi passivi. Certo, c’è una compagna che, avendo le competenze professionali, svolge il ruolo di punto di riferimento, ma non vogliamo riprodurre il tradizionale rapporto docente/discente.
Intendiamo usare la video-inchiesta per contrastare la direzione presa dallo sviluppo di questa città. Dove ci sono non meno di 220.000 case sfitte e 42.500 persone bloccate da anni nelle liste per ottenere le case popolari. A Roma ci sono tantissimi edifici privati, ma soprattutto pubblici abbandonati. Magari sono legati ad enti come ad esempio l’Enasarco.
Ora, l’attuale finanziaria parla di dismissione dell’intero patrimonio pubblico e si può ben capire che fine faranno le ex caserme o gli ex depositi ATAC disseminati nel territorio metropolitano. In pratica, dal governo e dai poteri finanziari viene un chiaro segnale volto a rafforzare una spinta che a Roma è da tempo dominante, quella per cui tutto viene messo profitto. A partire dalla casa, che in questa città dominata dai palazzinari è tra le principali fonti di profitto, con qualche differenza da territorio a territorio. Nelle aree limitrofe all’università si lucra sugli studenti, nei nostri quartieri invece (si pensi a Montespaccato o a Torrevecchia) si guadagna sulla pelle degli immigrati.
Sono fenomeni che vanno conosciuti e documentati, anche per combatterli meglio.

A cura di Il Pane e le rose – Collettivo redazionale di Roma

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